Una donna adulta e rispettata dalla comunità, in Sardegna, che spesso faceva anche la levatrice, incaricata di porre fine alla vita di moribondi la cui agonia stava durando troppo. Compito che lei eseguiva con un rituale preciso: entrata nella camera dell’agonizzante, dopo aver chiesto di essere lasciata sola toglieva dai muri crocefissi e immagini sacre e poi con un cuscino, un piccolo martello o a mani nude, procedeva. Questa è l’”accabadora”, dallo spagnola acabàr che significa finire, portare a compimento, terminare. Una figura a metà tra la realtà e la leggenda intorno alla quale si è acceso negli ultimi tempi un grande interesse. Prima ancora del fortunato e bel romanzo di Michela Murgia “Accabadora” (Einaudi 2009), già nel 2005 Mauro Boselli aveva disegnato nel n.59 del mensile “Dampyr” (Sergio Bonelli Editore) il fumetto “Le terminatrici”, con nere accabadore dipinte come streghe vendicatrici che danno la morte. Oggi a rilanciare il tema arrivano due novità. La prima è il film che Enrico Pau ha appena finito di scrivere e che dirigerà presto per la Kairos Film. L’accabadora stavolta si chiama Annetta, ma è una ragazza giovane che non riesce a sottrarsi al suo destino. Fuggita dal suo paese a Cagliari, sotto le bombe della seconda guerra mondiale, sarà costretta ancora a dare la dolce morte per salvare qualcuno che lei ama dal dolore fisico. «La nostra accabadora non è una vecchietta e starò lontano da ogni folclore», anticipa Pau. «Voglio fare un film molto fisico, potente, realistico e insieme visionario.
Con qualcosa della favola nel suo senso atemporale ed eterno, come suggeriva Calvino». La seconda novità è una specie di documentatissima Bibbia- con ricerche etimologiche, testimonianze letterarie, di giornali, riviste e siti web, più testimoninaze orali – ossia tutto il materiale sulla “femina agabbadòra” che è riuscito a mettere insieme negli anni Pier Giacomo Pala, direttore del Museo etnografico Galluras di Luras (Olbia Tempio). È un uomo molto fortunato, il signor Pala: perchè dopo più di 10 anni di ricerca sul campo ha ritrovato intatto un “mazzoccu”, ossia il martelletto di legno con cui l’accabadora assestava al moribondo il colpo finale. Racconta Pala nella premessa al suo volume che nell’81, nel cuore della Gallura, un amico gli riferisce che il nonno gli raccontava di «una donna, in quella zona, che usando un martello di legno aiutava gli agonizzanti a morire». Dopo anni di ricerche e interviste Pala arriva a un’altra scoperta: «Le donne che aiutavano a morire, sas feminas agabbadòras, erano anche quelle che aiutavano a vivere, cioè levatrici e ostetriche», spiega. Finché nel 1993, cercando proprio intorno a uno stazzo dove una di queste levatrici abitava, sotto un muretto a secco in demolizione, ben nascosto in una nicchia, Pala trova il preziosissimo martelletto, che oggi è esposto in bella mostra al museo Galluras. Continua su L’Espresso: http://simonetti.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/05/10/ianare-accabadore-e-dolce-morte/