La femina agabbadora
Premessa
Siamo nel 1981, a Luras, nel cuore della Gallura, sub-regione della Sardegna nord-orientale. Con il caro amico tiu Ghjuanni Maria mi capita spesso di fare lunghe passeggiate in campagna. Durante una di queste mi racconta che, da bambino, il nonno gli aveva parlato di una donna delle campagne di Luras che, utilizzando un martello di legno, aiutava gli agonizzanti a morire.
In un primo momento la notizia mi lascia indifferente, ma durante la notte continuo a pensarci. Intuisco che dietro quel racconto possa celarsi qualcosa di più profondo: una storia capace di raccontare un mondo antico, complesso e difficile da interpretare con gli occhi di oggi.
Testimonianze
È buio. La stanza è illuminata solo da un lumino ad olio di lentisco. L’accabadòra entra nella casa — trovando la porta aperta — e si siede accanto al capezzale del moribondo. Gli accarezza la testa, recita il rosario, poi intona una nenia, simile a quelle usate per far addormentare i bambini.
Infine, un colpo secco al cranio, inferto con uno strumento avvolto nell’orbace spesso e nero.
La figura dell’agabbadora non può essere compresa con categorie moderne: appartiene a un contesto storico e culturale in cui la morte era parte integrante della vita comunitaria.
Antologia sulla Femina Agabbadòra
“Sono una che aiuta a morire. Sono stata incaricata da Dio.